Metaponto e Taranto : nemici divisi dal Fiume Bradano

Metaponto e Taranto : nemici divisi dal Fiume Bradano

Riportiamo con piacere un contributo sui rapporti tra due importanti  citta-stato della Magna Grecia, confinanti, ossia Metaponto e Taranto, città “nemiche” divise dal Fiume Bradano. Nella pubblicazioni sono presenti importanti citazioni di luoghi  del nostro territorio, Torre Mare, Sansone, S.Pelagina, Pizzica, San Leone,Camarda,ecc... Il testo narra del paesaggio della pianura Metapontina così come si presentava nel 1867.

La ricerca ci riporta ad una importante pubblicazione presente nella biblioteca della Harward University dal titolo “Notizie Storiche di Miglionico- Precedute da un sunto sui popoli della antica Lucania  di Teodoro Ricciardi del 1867. 

TEODORO RICCIARDI  della medesima famiglia, fu canonico, filantropo e studioso di cose patrie, (1812-1876) Scrisse: - Il Ferrante, tragedia , Napoli 1862 e - Notizie storiche di Miglionico, precedute da un sunto storico dei popoli dell'antica Lucania. Napoli 1867, - Un viaggio alla Siritide e particolarmente a Pandosia. Napoli 1872

 7°  La Metapontina.

Alla Siritide seguiva la Metapontina, la quale cominciava dalla sinistra dell' Acri, e finiva alla destra del Bradano, comprendendo così i fiumi Acalandro, oggi Salandrella, ed il Casuentum, oggi Basento, Vasiento. Nulla di certo può dirsi fin dove dentro terra si fosse estesa. Alcuni topografi vogliono che avesse abbracciato solo gli odierni Mandamenti di Pisticci e Ferrandina, con parte di quello di Montescaglioso, Pomarico cioè, e Miglionico. Altri poi la estendono di più, facendola cominciare da Aliano, nel punto dove il Sauro s'immette nell' Acri, e di là procedere per Stigliano, S. Mauro, Grassano, sino al Bradano. Altri poi poggiati alle parole di Strabone, il quale dice che i Lucani abitavano le terre al di sopra del Golfo di Taranto, partendo da tale indicazione, credono: che la Metapontina doveva estendersi per Francavilla, Santarcangelo, Ferrandina,Grottole e Montepeloso. Infatti, Vibio Sequestre attribuiscealla Lucania il Seropotamo, fiumicello che si scarica nel Sinno, e scorre tra Chiaromonte e Senise.

Metropoli della regione era Metaponto,  la di cui origine, per l'antichità, si perde nelle mitiche tradizioni. Infatti Stefano Bizantino ci fa sapere, che il suo primiero nome fu quello di Aliba, della quale ne fa parola Omero, nella Odissea, in darci il racconto che fa Ulisse al padre Laerte, fingendo di essere egli di Aliba, chiamarsi Epirito, figlio del Re Amfidante, nelle di cui illustri case aveva accolto in ospizio il suo amico Ulisse, cinque anni addietro.

In prosieguo, egli dice, essere stata chiamata Metabo dal figlio di Sisifo, il mitico, o veramente primiero fondatore di Corinto, con la quale città è da credersi aver avute comuni le origini mitiche ed eroiche, non che le spedizioni lontane per la fondazione delle colonie. Altri poi dicono, che fu fondata dopo l'eccidio di Troia da' Pilii, i quali al loro ritorno in patria essendo restati disgiunti da Nestore, per effetto di una burrasca, vennero sotto la condotta di Epeo, il famoso fabbro del cavallo Troiano, ad approdare in tal sito, così che Giustino, o Trogo Pompeo (1), poggiato a tale tradizione dice: Metapontini quoque in templo Minervae ferramenta, quibus Epeus, a quo conditi sunt, equum Trojanum fabricavit, ostendunt. Altri infine la fanno contemporanea a Pandosia, e perciò fondata nel 1° anno della III. Olimpiade (768 A. C.) Comunque sel sia, assodato è sempre, che Metaponto fu una delle più antiche città della Magna-Grecia.

Sul lido del Jonio adunque, in quell'ampia e fertile pianura, che ora dicesi Torre di mare, dal castello Gotico fondato da Drogone, uno de' primi Normanni, nel principio del secolo XI (2), sorgeva Metaponto, nel

(1) Lib. XX.

(2) Drogone fondò il castello sul lido del mare, il quale oggi, per i banchi di arena depositati nel suo flusso, se ne è' allontanato circa un miglio. Il castello non più esiste; e la Torre si è già abbattuta quasi tutta dal proprietario Duca Filomarino. Ora ci restano soltanto alcune abitazioni per comodo de' viandanti, ed una Chiesetta dedicata a S. Leone, la quale fu eretta a Parrocchiale dal fu Arcivescovo Antonio di Macco (di f. r. ).

 mezzo de' due fiumi il Basento e il Bradano. L'aja di una tale città, da quello che vedesi da'ruderi, doveva estendersi dalle falde della odierna Pizzica, presso S. Salvadore, fin sopra il lago di S. Pelagina, il quale fondatamente si crede che fosse stato l'antico Porto de' Metapontini (1); così che la città veniva ad avere un perimetro di cinque in sei miglia, cominciando cioè da Torre di Mare, per il detto Lago di S. Pelagina, e da qui procedendo per sotto le Mensole ed i Lagaroni delle Mensole andava a finire sotto la Pizzica. Quindi veniva con ciò a comprendere le così dette Pezze di Sansone e la contrada S. Vito, dove pare che fosse stato il corpo principale della città, per la maggiore quantità di ruderi che vi si veggono, non che la detta Torre di mare, con buona parte della Marinella, o Marina de' cinque carri sotto la Pizzica (2). Posta intanto Metaponto in vasta, fertile, e ridente pianura, sulla sponda del mar Jonio, in breve tempo si avvantaggiò moltissimo per il commercio de' prodotti agricoli precisamente, cosicchè per gratitudine rivolse il suo culto principale a Cerere, Dea dell' agricoltura,

(1) Il lago di S. Pelagina che vuelsi essere stato il porto di Metaponto, oggi trovasi tutto dentro terra. Ha una forma ell ttica, e nella sua imboccatura viene impedito di comunicare col mare da estesi banchi di arena, pel tratto di circa 60 passi; cosicchè d'inverno ci comunica un poco, ma nelle altre stag'oni niente.

(2) Nelle Pezze di Sansone dovè essere il corpo della città, perchè vedesi quel suolo, più degli altri, tutto disseminato di pezzi di colonne, mattoni, tegoli, vasi frantumati ecc., oltre delle grosse colonne sporgenti fuori terra della così detta chiesa di Sansone. Il Bradano nelle sue inondazioni depone sempre della molta melma, cosicchè quelle nobili rovine giacciono ora sepolte sotto un due palmi di limo, come vedesi dagli scavi che si fanno per estrarsene dell'eccellente materiale.

 dalla quale tante ricchezze ed oro le perveniva. La prima notizia però di così illustre città, che ci abbia conservata la storia, si è quella, come dice Strabone sull'autorità di Antioco, della invasione fatta dai Sanniti, che la distrussero. Siccome poi Strabone non ci dice, chi erano questi Sanniti, così fondatamente si crede dal Corcia essere stata la colonia de' Lucani uscita dal Sannio, che verso il VI secolo A. C. si era già distesa fino sopra il golfo di Taranto. Dopo tale distruzione essendo rimasto quel luogo deserto, i vicini Achei (forse i Sibariti) per timore di vederlo occupato da' Tarantini, invitarono i loro concittadini dell' Acaja a venirlo a ripopolare prima che ciò si fosse fatto da altri. Ne profittarono gli Achei, e mandarono una di loro colonia sotto il comando di Leucippo, il quale (dicesi) che avendo precariamente ottenuto il permesso da' Tarantini di occupare la deserta Metaponto per un giorno ed una notte, non la volle più restituire; rispondendo a quelli che ne dimandavano la restituzione, se facevasi di giorno: Che aveva chiesto ed ottenuto il permesso di tenerla anche la notte seguente; e se dimandavasi di notte, rispondeva, di averla avuta anche pel giorno successivo. A tale diniego i Tarantini, in unione co'vicini Enotri, confusi già con i Lucani, non tardarono a prendere le armi; ma dopo breve conflitto si combinarono di lasciarsi, cioè, alla nuova colonia venuta a Metaponto la contrada posta sulla destra del Bradano, senza poter mai passare questo fiume; infatti da quel tempo il Bradano, che prima aveva già segnato il confine dell'Italia di allora con la Japigia, continuò poi sempre a dividere la Regione Metapontina dalla Tarantina.  Intanto i nuovi coloni, dopo di ciò, essendo rimasti in pacifico possesso della disputata città, giunsero bentosto ad un alto grado di prosperità e potenza; cosicchè poterono fare alleanza con gli Achei di Crotone e di Sibari, nel proposito di cacciare dall' Italia tutti gli altri Greci non Achei. Quin li, per primo fatto, assaltarono e presero la città di Siri, nella quale commiscro delle enormezze tali dentro il tempio stesso di Minerva, che la Dea se ne indignò, e li puni con mandar loro peste e sedizione finchè non la placarono, come dice Giustino (1). Dopo tal tempo per loro fortuna vi giunse Pitagora, il quale la nobilitò con le sue istituzioni politiche, scientifiche, morali, e religiose. Infatti, dopo che il filosof sfuggì dall' incendio Ciloniano in Crotone, cercò prima indarno un rifugio a Caulonia e a Locri, da dove, mal tollerato, fu bandito a Taranto, e i Tarantini anch'essi ne fecero mercato con trasportarlo a Metapo.to. Quivi giunto fu stimato qual si meritava; e dipɔi, essendosi riuniti attorno di lui i più ferventi discepoli, fece ben tostɔ cambiare aspetto alla città, rendendola bella, fiorente, e illustre pel viver civile e politico, ed accorsata da' forestieri, che da per ogni dove affluivano ad ascoltarne i precetti; in modo che, dice Laerzio (2) stavano in di lui compagnia, e gli andavanɔ a casa per cagione di studii e discipline Lucani, Picentini, Messapii, e Romani. Mi non tardò molto che l'odio del partito di Cilone lo raggiun jesse anche a Metaponto, dove fu pure dato alle fiamme l'edificio nel quale stavasi circondato dai suoi numerosi discepoli. In tal novello disastro i più de' Pitagorici vi perirono, altri passarono nella Lucania, e da qui nella Grecia trasmarina, tra' quali Liside di Taranto, che fu poi maestro di Epaminonda, e Filolao intrinseco di Democrito, i quali tutti portarono colà il lume della loro scuola. Da quell'estremo pericolo però si salvò un'altra volta Pitagora, guarentito da'corpi dei suoi discepoli; ma alla fine, ritiratosi nel Tempio delle Muse, vi finì di cordoglio là vita, dopo aver sostenuto per

(1) Lib. XX.   (2) Lib. VIII.

quaranta giorni la fame: Cujus ardentem rojum, dice Valerio Massimo (1), plenis veneratioris oculis Metapontus adspexit: oppidum Pitagorae, quam suorum cinerum nobilius, clariusque monimento .Infatti i Metapontini ne dovettero restare molto afflitti, perchè nientemeno giunsero dopo morto ad adorarlo come un nume, come ci fa sapere Giustino (2): Cujus tanto admiratio fuit, ut ex domo ejus templum facerent, eumque pro Deo colerent. Tal Tempio pɔi, o casa di Pitagora, chiamavano i Metapontini Delubro di Cerere, e borgo sacrato alle Muse (3).

(1) Lib. VIII, cap. VII.     (2) Lib. XX.      (3) Laer. lib. VIII.    (4) Lib. V e VI.   (5) Lib. II, cap. 8.  

A qual grado poi di prosperità era giunta Metaponto per la fertilità del suolo vedesi dalla ricca offerta mandata al Santuario di Delfo, al quale, per relazione di Strabone, mandò una Estate di oro, cioè un'immagine in oro di un Campo coverto di spighe: Hos tanto successu terram coluisse, ut auream aestatem Delphis dedicaverint. Più, ci fa sapere Pausania (4), che in Olimpia, a somiglianza delle altre illustri città Greche: Dedicarunt altithesaurum, in quo fuit Endimionis statua: sini ejus praeter vestem, la quale era di oro, ex ebore sunt omnia; oltre di una statua di Giove stringendo con una mano il fulmine, e con l'altra l'aquila. Inoltre sappiamo da Ateneo in Hella lis (5): che i Metapontini ebbero in Olimpia un loro particolare sacello, nel quale, Erant phialae centum triginta duae ar jen'exe, gutti argentei duo, Sympuvium auream, inauratae phialae tres.

Ma del resto la durata de' giorni felici di questa rinɔmata città, come pure le gloriose sue gesta del tempo antico ci restano i;note; e pare che da dopo la morte di Pitagora sia andata sempre declinando, finchè non giunse alla totale sua desolazione. Sappiamo soltanto da Tucidide: che quando gli Ateniesi vollero muovere guerra contro la Sicilia cercarono stringere prima un'alleanza con gl' Italioti, e Metaponto mandò loro 300 arcieri ausiliarii e due triremi per rinforzare la spedizione di Demostene ed Eurimedonte. Quando poi i Tarantini chiamarono in Italia Alessandro Molosso dall' Epiro, per opporlo alla crescente potenza de Lucani e de' Bruzii, Metaponto era tuttavia indipendente, in modo che essendovi giunto Alessandro, dice Giustino (1), Cum Metapontinis, et Pediculis, et Romanis foedus, amicitiamque fecit. Nella quale amicizia Metaponto continuò talmente con l'Epirota, che dopo la strage di quel Re fatta dai Lucani nel passaggio del fiume Acri sotto Pandosia, le sue ossa, come scrive Livio (2), furono mandate a'nemici a Metaponto: Ossaque Metapontum ad hostes remissa, inde Epirum ad Cleopatram uxorem. Ma dopo la morte di Alessandro, che solo impediva i Lucani a non impossessarsi delle città della Magna-Grecia, pare che Metaponto venisse tosto occupata da tali nemici; dal perchè poco dopo vediamo i Metapontini in unione co' detti Lucani. Infatti, allorchè Taranto si vide privata del braccio di Alessandro, non perdè tempo a chiamare similmente in suo aiuto Cleonimo di Sparta. Alla venuta di questo Spartano, con numeroso esercito di Laçoni e mercenarii, a'quali si congiunsero poi i Messapii ed altri GreciItalioti, rimasero spaventati i Lucani, e, pel di loro meglio, rinnovarono tosto l'amicizia co' Tarantini, rendendo così omaggio a Cleonimo. I Metapontini non vollero rendere un tale omaggio allo Spartano; quindi questo brutalmente diede prima il guasto alle campagne di Metaponto, e di poi incominciò ad assaltare la città, nel di cui assalto i Metapontini, vedendosi impotenti a potergli

(1) Lib. XII.  (2) Lib. VIII, c. 24.

resistere, gli aprirono amichevolmente le porte. Cleonimo intanto essendoci entrato come amico, finì poi coll'infamare se stesso e gli altri; imperciocchè non solo estorse da quei poveri cittadini più di 600 talenti di argento; ma quasi ciò non fosse stato bastante, volle in ostaggio ancora duecento vergini donzelle, non tanto a sicurtà della fede, quanto per saziare la turpe sua libidine. Infatti, continua Diodoro (1), Cleonimo gettato via il sacco Laconico, consumò il tempo in delizie, rendendo schiavi quei poveri Metapontini che si erano a lui affidati! e così con tanto apparato non solo non fece niente che fosse stato degno di Sparta, ma ne fece tutto il vituperio.

Quando Taranto dipoi chiamò il Re Pirro dall' Epiro per opporlo, giusta il solito, a' Romani, nella di costui venuta, leggiamo, che fece pur lega con Metaponto, Eraclea ed altre Città Greche, le quali però ebbero tosto a pentirsi della tirannica protezione dello straniero; dal perchè non appena ne furono liberate, vedendo i Metapontini non poter più mantenere la loro assoluta autonomia, pare che senza resistenza alcuna fossero passati sotto la dominazione de' Romani, dal perchè, come socii, li sentiamo nella celebre battaglia di Canne, contro di Annibale: cosicchè, dopo che il Cartaginese ne uscì vittorioso da tale battaglia, Metaponto, con le altre città greche, fu obbligato dare degli ostaggi ad Annibale, per sicurezza della di loro fede (2). Ma con tutto ciò quando Annibale vide non potersi impossessare di Taranto, presidiata da' Romani, e se ne parti per Salapia, tutto il frumento necessario per . l'esercito lo ricavò a forza da' campi di Metaponto e di Eraclea, dal perchè essendo al mezzo l'estate, il ricolto qui crasi già terminato, e chiuso ne' granari. Dopo di ciò

(1) Lib. XX, 104. (2) V. Livio lib. XXII, XXIV, XXV, e XXVII per, tutto quello che qui si dice, non che il lib. XXX, cap. 18, 20, 21.

li sentiamo un'altra volta co' Romani, co' quali però non dovettero durarci molto; perchè per una terrili'e vendetta che i Romani fecero sugli ostaggi di Taranto e Metaponto, benchè Livio dica, di Turio, i quali da Roma cercarono fuggirsene, Taranto e Metaponto si ribellaro. no dagli stessi, e diedersi nuovamente alla parte di Annibale; dopo di che a' Romani in Taranto non restò più che la sola Rocca ben difesa. Il di costoro esempio fu tosto imitato da quei di Turio, dicendo lo stesso Livio: movit eos non Tarentinorum magis defectio, Metapontinorumque, quibus ex Achaja oriundi cum essent, etiam cojnatione juncti erant, quam ira in Romanos, propter obsides nuper interfectos.

Sicchè Metaponto avendo d'allora sposata all'intutto la causa di Annibale, sempre poi gli rimase fedele, la quale unione formò già la sua ruina; dal perchè dalla partenza del Cartaginese è da ripetersi la principale ruina della Città. Infatti sappiamo da Livio: Dopo che Fabio riprese Taranto con tal' arte da far esclamare lo stesso Annibale: Et Romani suum Annibalem habent, eadem, qua ceperamus arte Tarentum amisimus, il Cartaginese si ritirò in Metaponto. Da qui usava tutti i modi come far cadere Fabio in qualche agguato, ma indarno; perchè il tutto finì con la morte di alcuni poveri messi Metapontini.

Intanto dopo un'anno da questo fatto, 208 A. C., inclinava la fortuna de' Cartaginesi in Italia, e Annibale dopo aver perduta la battaglia presso Grumento, fuggendo sempre innanzi alle armi de' vincitori Romani, venne finalmene a fissare il suo campo presso Metaponto. Quivi indarno stava aspettando ragguagli e rinforzi dal suo fratello Asdrubale, il quale veramente avevagli mandato de' messi a Metaponto, ed i quali, perchè sorpresi da' foraggieri Romani in fine del loro viaggio, furono arrestati e condotti al Pro-pretore Q. Claudio; da'quali avendone il medesimo saputo tutto il segreto lo riferi a' Consoli M. Livio Salinatore e C. Claudio Nerone. Questi, che stavano nell' Umbria spiando le mosse di Asdrubale, all'annunzio di doversi questo andare a congiungere con Annibale, lo assalirono all'impensata sul fiume Metauro, e gli disfecero l'esercito con la morte dello stesso Asdrubale; ciò fatto, il console Claudio fece tagliargli la testa, gelosamente portatala a Roma, da qui commise a due Africani istruiti della perduta battaglia di andarla a portare nel Campo di Annibale presso Metapont. In ciò vedere e sentire Annibale, oppresso da pubblica e domestica sventura, esclamò: Agnoscere se fortunam Carthaginis! Dopo di che stimò di meglio levare il campo da Metaponto per concentrare tutte le sue forze nel fondo del Bruzio.

Quindi in tale sua ritirata, non solo condusse seco l'esercito, ma per forza anche tutti i Metapontini con quei Lucani, che gli stavano soggetti, o rimasti erano fedeli alla sua alleanza. La sua crudeltà poi giunse a tanto, che pria d'imbarcarsi dal Bruzio per l'Africa, fece trucidare miseramente nel Tempio di Giunone Lacinia il fiore delle nostre genti, che avevano sostenute le sue parti, sol perchè si dinegarono di seguirlo a Cartagine. Tale forzata emigrazione adunque fu la principale, se non la totale ruina di Metaponto, città nobilissima, come è detta da Livio, e come non solo le narrate memorie, ma le rovine de' suoi templi, le numerose e belle medaglie, non che i suoi ruderi e i frantumi stessi ce lo dimostrano.

Fatta adunque così deserta, i miseri avanzi che ci restarono, rimasersi esposti al ludibrio de' vincitori Romani; e di poi, quasi che tanta sventura non le fosse stata soverchia, nella guerra Spartacia, ossia di una ciurmaglia di servi sollevati sotto il comando di duci gladiatori, con a capo Spartaco, fu compita la sua devastazione! dal perchè tale ciurmaglia, dopo di essere stata snidata da' dintorni di Napoli, inondò fino sul Jonio, dove, al dire di Lucio Floro (1), con terribile strage saccheggiarono anche Turio e Metaponto: Nec villarum alque vicorum vaslatione contenti: Nolam atque Nuceriam, Thurios atque Metapontum terribili straye pop larunt

E qui si chiude la pagina storica di Metaponto; talchè dopo non se ne parla che per una onorevole e dolorosa rimembranza della passata sua grandezza. Ai tempi di Cicerone però, verso il 50 A. C., comechè abbandonata. tale esser doveva ancora da ammirarsene i grandi e belli edificii; dal perchè il grande Oratore (2), ci fa sapere che egli andiede a Metaponto, non tanto per vederne gli avanzi, quanto per osservare la sede e il luogo dove Pitagora finì la vita, dicendo a Pisone: Scis enim me quodam tempore M. tapontum venisse tecum, nec ad hospitem ante divertisse, quam Pytagorae ipsum illum locum, ubi vitam ediderat, sedemque viderim. Ma al tempo di Pausania però, che visse fin' oltre alla morte di Marco Aurelio, nel 180 dell'Era volgare, all'infuori del teatro, e del perimetro delle mura, nient'altro ci rimaneva, dicendo (3), Et Metapontinis quidem quae fuerit exitii causa compertum certe non habeo. Aetate sane mea ejus urbis reliquiae tantum extant Theatrum, et murorum ambitus: Reliqua ad solum eversa!

Ed ora? Della nobilissima Metaponto egualmente che dell'antica Capua possiam dire con Camillo Pellegrini, nella storia de' Principi Lombardi,

A' bei tetti lucenti

Cangiati in muti orror Tempi e Teatri

Insultano gli armenti.

Cuopre, nasconde l'erba

Metabo superba.

E chì per questi orror volge gli aratri
Dice qui stè

Una illustre Città, che or più non è!

(1) III, 20.    (2) Nel proemio del lib. V, de Finibus.  (3) Lib. VI, 19, 9.

Verosimile è però, dice l'Antonini (1), che ne'secoli susseguenti fossevi stabilita altra gente, giacchè leggiamo in Leone Ostiense, che nel 980 ci venne l'Imperatore Ottone.... Otho secundus imperator.... abiit Tarentum et Metapontum. Confermasi tale opinione in vedersi, nel 1119, la Contessa Emma, zia di Federico II, con suo figlio, donando al monistero di Montescaglioso il casale di Passavanti, gli dona ancora il jus Plateae nella Città della SS. Trinità, così chiamata allora Metaponto, nome che non le durò guari. Si rese disabitata dopo l'anno 1184 per gravissimo tremuoto, descritto dal monaco Cassinese. Dippiù, nel manoscritto del marchese di S Giovanni, come egli dice, si legge, che nel 927, i Saraceni saccheggiando la città rimasta vuota per la fuga degli abitanti, appena loro riusci farne schiavi 60, fra vecchi e fanciulli nella campagna. E dovette questo fatto forse accadere quando presero Taranto nella maniera indicataci da Lupo Protospata nell'anno 927, riuscendo tali scorrerie facili e sicure a quei barbari, poichè trovandosi questi luoghi in potere de' Greci, poco o nulla li curavano.Molti e magnifici dovettero essere i Tempii di Metaponto, di alcuni de' quali la Storia ci ha conservato memoria. Nell' Agora, o Foro, ci stava il Tempio di Apollo, col suo simulacro e con lauri di bronzo, attorno del quale danzando la saltatrice Farsalia, con la vita, perdeva l'aurea corona, che aveale donata Filomeno, tiranno dei Focesi. Già questi alberi di bronzo erano animati da un potere soprannaturale: già dalle loro foglie usciva una voce, quando Farsalia di Tessaglia, amica di Faillo, venne a mostrarsi a Metaponto coronata di alloro di oro. Tosto i giovanetti che trovavansi nell' Agora furono agitati da un furore divino, e fecero a brani la cortigiana che aveva ardito vestirsi delle divise del loro dio; e tutto 

(1) La Lucania. Par. III, Disc. 3.o

 ciò nel 354 A. C. Ma Plutarco però, soggiunge il Duca di Luynes, diminuisce molto un tale racconto, dicendo (1): Che Farsalia avendo ricevuta questa corona dal sacrilego Filomeno, venne a Metaponto, ov'ella danzò avanti il tempio di Apollo. La sua corona essendo caduta, i giovanetti avidamente vi si precipitarono sopra onde impossessarsene; e nel mentre questi se ne disputavano i pezzi, Farsalia, malmenata dalla calca, cɛtò vittima dell' orribile lotta eccitata dal suo fasto ed orgoglio.

Avanti il Tempio di Apollo ci stava la statua del celebre Aristeo Proconnesio, impostoro, o filosofo Pitagorico, del quale gli antichi raccontano le molte peregrinazioni dopo le sue favolose risurrezioni successive; così che i Metapontini dicevano ad Erodoto essere apparso dopo la sua morte fra loro, ingiungendo d'innalzargli un simulacro; su di che essendosi consultato l'Oracolo di Delfo, questo loro rispose che ubbidissero allo spettro. Ma è bello leggersi per intiero tale racconto presso Origene contro Celso (2), il quale vantava Aristeo per infermare i divini portenti di Cristo.

Ci stava pure il Tempio di Giunone, forse il più antico di tutti, ricordandoci esso il culto l'elasgico introdotto in Metaponto, e del quale ne fa particolare menzione Plinio (3) dicendo: Metapontini Templum Junonis vitigineis columnis stetit, con colonne, cioè, di tronchi di viti, o meglio a forma delle viti.

(1) De Pyth. Orac. c. VIII.      (2) 111, 26.   (3) XIV, 2.

Si ricorda inoltre da Laerzio, da Valerio e da altri il Tempio delle Muse, dove, carico di anni, nè senza grave cordoglio, dopo quaranta giorni di astinenza, moriva Pitagora. Più, il Delubro di Cerere, formato dalla casa di Pitagora stesso. E infine, il Tempio di Minerva Ellenica, del quale diremo qualche cosa più appresso.

Nulla è da dirsi poi della bellezza e diversità delle sue monete di bronzo, di argento, ed anche di oro, a somiglianza di quelle di Taranto, le quali fannoci vedere il grado di perfezione, che in lei erano giunte le arti; le più antiche delle quali sono i Didracmi col tipo della spiga incuso ed in rilievo, con l'epigrafe META diretta o retrograda, in caratteri paleografici, e questi da' tempi di Pitagora in là, non oltrepassando però il VII secolo A. C. Delle posteriori poi è così lunga la serie, che non è qui luogo parlarne, ma che però tutte hanno sempre da una parte la spiga, e dall' altra qualche immagine, delle quali molte ne offrono.

Ormai di Metaponto non rimangono che pochi avanzi con una infinità di ruderi sconvolti annualmente dall'aratro; perchè le ruine della città giacciono sepolte sotto un due palmi di limo deposto dal Bradano nelle sue inondazioni; così che se s'intraprendesse uno scavo regolare, nella profondità di dieci in dodici palmi, oh quante cose si troverebbero! Spesso i proprietarii ci fanno di tali scavi, ma a solo fine di estrarne dell'eccellente materiale per la formazione delle loro case rurali, e ci trovano già delle belle cose. Il Duca di Luynes nel 1828 fece pure di suo conto eseguire diversi scavi, e ritrovò due grandi teste di leone, e certe antefisse, o mascheroni, rappresentanti la testa di Iside, in terra cotta, e colorati, con altri frammenti.

Del resto, quella bellissima e fertile pianura, ove ignoto è l'inverno, con un cielo ridente ed un mare pescoso, si è resa in tempo di estate insalubre per acque stagnanti. Tale infezione può togliersi soltanto col ripopolare quella contrada, e col darsi riparo alle inondazioni del Bradano. Un tanto bene, che indarno si è sperato nel passato, ora fondatamente si spera dal Governo Italiano, il quale veramente per ora ha decretato una ferrovia per tali luoghi, cominciando da Taranto sino a Reggio, ma con tutto ciò si va troppo a rilento!

Nelle Pezze di Sansone veggonsi sporgenti fuori terra delle grosse colonne di pietra calcarea, scanalate, e poste in doppia fila. L'edificio, al quale appartenevano queste colonne, non poteva essere che un Tempio, lungo, come pare, 140 palmi, e largo 80. Il diametro delle spezzate colonne è di 5 palmi, e di palmi 7 sono esse nella base, come vedesi da un plinto sporgente fuori terra. Fra tali rovine, nello scavarsi, si sono rinvenute alcune piccole antefisse, e numerosi pezzi di palmette, gole di leone, uovoli e meandri, misti a rottami di capitelli dorici, ed altri frammenti. Questo Tempio con denominazione poco storica, ma espressiva della confusione, che dovè produrre la caduta intiera ed istantanea del grande edificio, suole chiamarsi Chiesa di Sansone. In poca distanza da questo vidi disotterrarsi de'grossi pezzi quadrati di un tufo forte, con alcune colonnette spezzate.

Partendosi da questo Tempio, per un suolo disseminato di una infinità di ruderi, volti e sconvolti dall'aratro, ́ si va al così detto Pozzo di Sansone. Questo antico pozzo è di forma circolare, profondo, e costruito con grosse pietre lavorate, e con un boccaglio, che circolarmente sorge da terra, formato solo da due pezzi di pietra dura calcarea, connessi in modo da avvertirsi a mala pena le due congiunture. Il diametro vuoto interno di questo boccaglio è di palmi 3 1/2, e la sua pèriferia esterna è sopra i 13 palmi. L'acqua è sorgiva, abbondante, e carica di sali. Nel 1854 poi, in poca distanza dal detto pozzo, se ne scoprì un altro, pure sorgivo e più piccolo, ma formato da tanti pezzi circolari di terra cotta, uno soprapposto all'altro, proprio come sogliono mettersi i tubi ne' pozzi artesiani; ma ora va nuovamente a riempirsi di limo, perchè rimane a fiore di terra.

Tralasciando finalmente di far parola de' suoi sepolcri e di altri oggetti, che spesso si scoprono, diremo soltanto qualche cosa della più bella antichità che restaci ancora di Metaponto, cioè, di un suo Tempio tuttora esistente in buona parte. Infatti, dal mezzo de' grandi ruderi, i quali indicano il corpo della città, salendosi verso il settentrione, lungo la riva del Bradano, veggonsi sopra una collina, poco rilevata, due grandiose fila di colonne di un bel colore di oro, proprio come quello delle spighe mature, derivato loro dal chiaro cielo e sole brillante. Questa nobile reliquia dell'antichità, che ha sfidato già tanti secoli, e più forse ne dovrà sfidare, purchè la barbarie non continua ad imperversare, s'innalza grandiosa e solitaria, come un Oasis del deserto. Stanca quasi dalla gioja de' numerosi cittadini, i quali accorrer dovevano in folla alle sue solennità, ormai dimenticata, ma dignitosa, ode soltanto ne' belli giorni d'inverno e primavera i dolci prolungati suoni, che i pastori, seduti su i subbasamenti del suo colonnato, cacciano dalle loro sampogne, nel mentre che d'intorno numerosi greggi e armenti vanno pasturando all' avventura. La collina una volta era coperta da lentischi, ma oggi è assolutamente nuda, e non si veggono che le dette colonne isolate; nel mentre che poi offre il più bel punto di veduta, con spiegare d'intorno il più bello panorama, talchè non potevasi scegliere luogo più bello da quegl' ingegnosi Greci per un Tempio dedicato ad una di loro divinità; e Tempio magnifico veramente era questo, consacrato, come sembra da Aristotele, alla Dea della Sapienza, o Minerva Ellenica.

Infatti questo Tempio, come si vede, trovavasi giàfuori di Metaponto, dal perchè vedesi chiaramente, che appena si lascia la pianura tutta disseminata dei frantumati ruderi della città, nel cominciarsi a salire il dolce pendio della collinetta, ove è posto il Tempio, tosto quei ruderi ti abbandonano, e non vedesi che la terra nuda primitiva della collinetta formata da' ciottoli e da terra rossigna. Adunque se fuori le mura della città stava esso posto, prope Metapontum, non poteva al certo essere altro, che il Tempio di Minerva Ellenica, innalzato dagli Elei, a somiglianza di quello che la Dea ebbe in Mindo città di Arcadia, facendoci sapere Aristotele (1), ἐγγὺς Μεταπτατίεα αθηνα; ἱερου είναι φατεια Ελληνία; ecc. Dicono che presso Metaponto ci sta il Tempio di Minerva Ellenica, nel quale, raccontano, avere dedicato Epeo i suoi ferramenti, che gli servirono per formare il Cavallo Trojano. E della tradizione concernente Epeo parla anche Giustino. Quindi fino a tanto che non possa dimostrarsi un tale Tempio aver appartenuto ad altra Deità, non possiamo fare a meno dal crederlo dedicato alla Dea della Sapienza.

Del resto questo sacro monumento, il di cui colorito, l'armonia, e la semplicità delle proporzioni, congiunti all' incantesimo di una vaga collinetta, sulla quale sta fondato, desta tuttora l'ammirazione di chi l'osserva. Dello stesso rimangono ancora 15 colonne, disposte in doppia linea parallela; cioè, 10 poste nella linea dal lato del Bradano, e 5 dall' opposto (2), con il loro architrave. Le medesime non sono di un sol pezzo, ma di parecchi pezzi, uno soprapposto all'altro, di una pietra calcarea dura e grossolana, coperte però da uno

(1) De Adm. ausc. cap. CVIII. (2) Delle colonne mancanti non si osserva neppure la zoccolatura. Si vuole che da questo Tempio siano state prese le colonne delle due navi minori del bel Duomo di Matera. La somiglianza fra di loro ne avvalora la credenza.

stucco giallo finissimo, come lo era tutto il Tempio, e del quale veggonsi ancora le tracce; nel mentre tutto il resto poi è stato corroso dalle intemperie, e dalla mano de' pastori, che sogliono ivi sostare con le loro greggie. Sono di ordine dorico e scanalate; nelle loro commessure non si osserva nè cemento, nè sostegni di ferro, nè la menoma traccia della parte meccanica delle arti moderne; si sostengono da tanti secoli soltanto per un segreto equilibrio che seppe dar loro l'ingegno di quei  valorosi Greci. Queste colonne con le loro basi poggiano su di un solido subasamento a più scaglioni, già quasi tutto scoperto, il quale subasamento dà loro quella solidità che l'ha fatto resistere alle tante scosse della terra. Le medesime hanno di altezza palmi 23, con il diametro, verso la base, in palmi 4 1/4. La lunghezza del Tempio, misurata da una punta della zoccolatura all'altra, nella fila delle dieci colonne, di palmi 110; l'intercolunnio è di palmi 7. La larghezza tra i due ordini delle colonne è di palmi 53 3/4. L'architrave che ne rimane, è formato soltanto da 13 pezzi di pietre; nove lunghi pezzi coprono a linea le dieci colonne, e quattro poi le altre cinque; ma l'ultima mensola di queste quattro, assieme col suo capitello, verso il nord,
sta già crollando Pare che questo Tempio fosse stato ipetro, cicè sub aethere, scoperto; ma comunque siasi,questo è tutto, e non veggonsi più neppure le tracce delle mura della Cella. Peccato che lasciasi così deperire tanto nobile monumento! Il Bradano, benchè sottoposto assai, da che ha abbandonato il suo antico alveo, il quale prima era più distante, ora gli si è avvicinato, e non dista più di un cento passi.

Questi nobili avanzi, al dire dell' Antonini, nel medio Evo si chiamavano Mensue Imperatoris, nome derivato forse da una tavola ivi datasi nella riconciliazione di Marcantonio ed Ottaviano, o pure per simil fatto nella venuta dell' Imperatore Ottone II. Dal Mensae Imperatoris gli è derivato poi il nome odierno di Mensole, abbenchè più comunemente sogliono chiamarsi Tavole Paladine, ed anche Scuola di Pitagora, in rimembranza del sommo Filosofo.

TOPOGRAFIA DELLA METAPONTINA.

La Metapontina aveva molte città, o borgate, come argomentasi da' tanti ruderi antichi, che per la medesi ma qua e là trovansi sparsi, e che tutte aspettano ancora qualche intelligente, che potesse ridonarle alla storia. Qui non parleremo che di poche, non avendo potuto di più; ma per poche che sieno e malamente trattate, sono però sempre qualche cosa, e gioveranno ad altri per fare di meglio. Desse sono, oltre di Metaponto, della quale già se n'è parlato. 1° Camarda. 2° Picoco. 3° Castro Cicurio. 4° Obelano. 5° Grottole. 6° Milonia. I fiumi poi sono tre, già ben noti, cioè l'Acalandro, il Basento, e il Bradano.

1° Camarda, 

Di questa distrutta città, distante cinque miglia da Metaponto, e circa un miglio da Bernalda, che l'è succeduta, veggonsi gli avanzi nel sito detto S. Donato, consistenti in frantumi e rottami di antichi edificii, oltre de'sepolcri, vasi, e monete, che vi si rinvengono. Della medesima ne fa nuda menzione l'Antonini, nè molto si è potuto saperne da quei naturali Giusta la loro tradizione pare, che Camarda abbia continuato ad esistere sino al 1500, nel quale tempo, da un tale Conte Bernaudo, col materiale della medesima, già male ridotta, fu fondato l'odierna Bernalda, così detta dal di lui proprio nome, e nel quale passarono i cittadini di Camarda. Di questa città per altro si fa spesso menzione nella Cronaca de PP. Benedettini che stavano in Montescaglioe nelle carte di controversie tra i detti Padri e il Comune di Pomarico. Ma oltracciò il suo nome tutto greco ci dimostra abbastanza la sua antichità; su di che fa osservare il Corcia, a proposito di altro vllaggio omonimo a due miglia da Paganica nell' Aquilano, doversi credere per entrambe il nome di Camardia derivato dal dorico, invece di  terra e da äpois, come adatta all' arazione, considerandosi la lettera U come epentetica, ed intromessa per eufonia.

2° Picoco

Dopo circa tre miglia da Camarda, dalla parte del Nord', passatosi il grosso torrente Cavone, così detto perchè scorre nel profondo de monti, che lo fiancheggiano, per una difficoltosa salita, poco più di un miglio, in mezzo a luoghi selvaggi, tra folti cespugli, olivastri già posti in ordine, lentischi, ginepri carichi di bacche e lagrimando bianchissimo incenso, roveti, ed altri arbusti silvestri, luoghi da' capraji e bifolchi, e pericolosi per rifugio di masnadieri, si arriva su di un alto piano ov'è posto il casale Picoco, Izzo;. Il suo spianato è a forma ellittica, al quale non può accedersi che per due vie soltanto, praticate nelle due punte della detta ellittica ; una al Sud-Est, che è quella percorsa, e l'altra al Nord, che mena a Castro-Cicurio. Aveva le sue mura di cinta, nella grossezza di quattro in cinque palmi, e fabbricate, non già con quelle grosse pietre come sogliono essere le così dette mura Pelasgiche, ma di pietre trasportabili a schiena, ed unite con terra bolare rossa, della quale abbonda la contrada. Oltre delle mura di cinta, che veggonsi in buona parte ancora pendenti su quelle scoscese, si veggono ancora per mezzo a' lentischi, a fior di terra, quasi tutte le vestigia delle mura delle piccole abitazioni, con le strette vie, e tali da potersene rilevare quasi per intera la pianta. La sua aja poi è tutta disseminata di pietre ammonticchiate, di frantumi di grossi mattoni e tegole, non che di rozzi vasi antichi; circostanza che fa credere il luogo essere stato abitato, non già da persone agiate, ma da villici dipendenti forse da Castro-Cicurio, del quale dovè essere una borgata molto sicura. A ciò si aggiunge la ristrettezza della sua aja, la metà quasi di quella di Cicurio, e la derivazione del nome Picoco da ix tondeo, circostanza la quale fa crederci, che il luogo era abitato in preferenza da' pastori, a comodo de' quali non solo ci stanno abbondanti acque sorgive in tutta la costiera del monte, al fianco Nord-Est, ma havvi di più il sottoposto torrente Cavone, col fiume Basento, per purgarsi ed imbianchire le lane. Quando questa borgata o casale sia stato distrutto è ignoto Certo è, che nelle controversie tra i PP. Benedettini di Montescaglioso e l'Università di Pomarico, furono da' primi presentati alla Real Camera di S. Chiara documenti per concessioni loro fatte nel 1146 dal Re Ruggiero, ed altri Re successivi, ne' quali si parla del Picoco come di un casale già diruto, e distrutto anticamente; nella di cui distruzione i suoi abitanti, assieme con quelli di Castro-Cicurio, erano passati in Pomarico (1). Però nelle dette carte si fa spesso una confusione di Castro-Cicurio e del Picoco, per la ragione forse, che il Picoco non era che un casale di Cicurio.

(1) Per tale ragione i Pomaricani hanno preteso sempre di aver dritto in detta Difesa, o Demanio del Picoco aquandi, lignandi, pascula sumendi cum animalibus de die et nocte. Le dette controversie però furono amalgamate con un istrumento di transazione per Notar Pantaleo de' 15 novembre 1720, e con altro de' 12 marzo 1754, stipulato in Napoli, e del quale conservasi cop'a autentica dal Notar Caggiani di Pomarico stesso; ma con tutto ciò il volgo Pomaricano non si persuade, e di quando in quando dà in eccessi, come nel 1848.

cosicchè al Picoco dassi nelle stesse il nome di Cicurio, e al vero Cicurio quello di Pomarico vecchio, ed anche S. Giacomo. Tale confusione però viene chiarita da una lapida che stava in detto Picoco, e della quale or ora parleremo. Del resto, nel nostro Picoco da' detti Benedettini fu fatto un buono fabbricato con panetteria, forno, e mulino per comodo de' pastori, e bifolchi, che ivi ed all'intorno, sogliono con le loro mandrie ed ovili trattenersi d'inverno.

3° Castro Cicurio 

Uscendo dal Picoco, dalla parte del Nord, dopo passato la difesa dello stesso Picoco, e l'altra detta Alma di Pari, appartenente a Pomarico, fattasi una discesa, e poi una difficilissima salita, dopo circa due miglia, si arriva a Castro Cicurio, città Pelasgica, posta sul culmine di un monte isolato, tra il fiume Basento e il torrente Cavone, e distante dall'odierno Pomarico circa quattro miglia. Questa antichissima città non è stata menzionata se non dal solo Corcia, per averla veduta notata nella carta geografica di Rizzi Zannoni. Per mancanza di altre notizie il dotto scrittore si limita ad osservare come un tal nome, conservato a traverso dei secoli, mirabilmente viene a confermare le antichissime emigrazioni degli Epiroti in queste nostre contrade. Ed osserva come nell' Epiro, sul golfo in cui si scaricano l'Acheronte e il Tiami, nella regione dove furono le città antichissime di Butroto, Buchezio, Elatria, e Pandosia, Strabone nomina pure la città di Cichiro, o Cicurio, ch' ebbe prima il nome di Efira, celebre per le origini Pelasgiche, città capitale dell'Aidonia, e sede de Re della Tesprozia. Un tale Cicurio dell' Epiro, del quale eruditi viaggiatori ci hanno descritte le mura poligone costrutte con enormi macigni, simili alle mura  Pelasgiche di Micene, non era molto lontana da quella Epirotica Pandosia, siccome il nostro Cicurio della Metapontina non è pure molto lontano dalla nostra Pandosia, posta nella limitrofa Siritide, della quale se n'è fatto appena cenno nel parlarsi della detta regione Tale osservazione intanto non solo dimostra le Pelasgiche origini di queste nostre contrade da quelle della Tesprozia, nel vedersi qui ripetuti i nomi di città e fiumi della Pelasgica Epiro, come di Pandosia, Cicurio, e dell'Acheronte, Acri, Aciri, Achiris, Acheros, perchè un dolce alleviamento è stato sempre per gli emigrati dare alla loro nuova sede i nomi della patria abbandonata; ma viene in certo modo a confermare inoltre il sito della morte data da' Lucani al Re Alessandro Molosso nel passaggio dell'Acheronte, cioè del fiume Acri, o Acheronte, sotto Pandosia di Eraclea, oggi Anglona di Tursi.

Il nostro Cicurio adunque, come il radicale stesso del nome indicante fortezza lo dimostra, Krzy, robur, è posto in sito di molta sicurezza, sullo spianato di un monte quasi all'intutto isolato, tra il fiume Basento ed il torrente Cavone. Allo stesso non si può accedere a cavallo che dalla sola parte di Oriente, nel mentre, che per tutto il resto, al Sud, Ovest e Nord, è stentatamente accessibile a' soli pedoni, per causa delle spalle precipitose del monte, sul quale eccelso s' innalzava. Infatti al suo difficoltoso accesso accenna pure quella grande lapida, sopra menzionata, già posta nel detto Casale Picoco, e nel 1848 trasportata nella Cancelleria Comunale di Pomarico, ove presentemente si trova. La stessa in verità non conta molto più di un secolo, e pare fatta con molta malizia forse da' detti PP. Benedettini, onde estendere i confini di Pomarico sino al vero Castro Cicurio, non già sino al Picoco come da' Pomericani si pretende; ma comunque siasi viene la stessa a confermare sempre più quanto da noi si dice.

Siste gradum viator

Quod constructum aspicis in perantiquis Casalis Picochi vestigiis Aedificatum scito..

Nec existimes hic antiquum Cecurii Castrum moenibus cinctum
Prope Ecclesiam Sanctae. Mariae de Sclavonibus

Hoc enim in finibus quibus primum tenimenta
Montis-Caveosi, Pomarici, et Picochi se contingunt
Poene dirutum duorum millium passuum fere hinc dissitum
Boream versus in praerupta rupe situm
Si velis cernito.

Anno salutis reparatae MDCCLXI.

Dopo faticosa salita adunque giunti sul vertice del monte, vedesi, con uno estesissimo orizzonte, uno spianato parellogrammo della estensione di un dieci moggia nostrali, o circa tre ettari, diviso nel mezzo da un regolare avvallamento, il quale comincia a declinare dalla parte di Ponente, e va sempre piegando verso Oriente, ov' era l'entrata della città. La stessa era tutta cinta di mura, le cui vestigia si veggono a fior di terra, nella grossezza di quattro in cinque palmi, e fatte non già di quelle grosse pietre poligone, come le altre Pelasgiche, forse per la difficoltà della salita, ma di pietre trasportabili a schiena, e cementate pure con terra bolare, della quale abbonda la contrada. Ma se visibili sono le mura di cinta, non sono così poi quelle delle abitazioni, perchè essendosi il luogo addetto a semina, quei ruderi sonosi scavati, e ammonticchiati lateralmente ai campetti, che si sono formati. Però a poca profondità, come diceva un campagnuolo ivi trovato a guardare un bel campetto di fave, ponno vedersi tutte le fondamenta delle anguste abitazioni Insomma di tutti gli edificii non veggonsi ora allo scoperto se non gli avanzi di due soltanto piuttosto grandiosi, di figura parallelogramma, l'uno all' altro contiguo, e posti nel bel mezzo della città, al principio cioè dell' avvallamento, verso Ponente, e di fronte all' Oriente, ov'era l'entrata della città, cosicchè nell' entrarsi la porta della stessa vedevansi subito grandeggiare d'innanzi.

Tali edificii sono da eredersi due Tempii, consacrati forse a Cerere ed alla figlia Proserpina, cioè Deabus matribus, il culto delle quali in alcuni paesi si rendeva unitamente in un tempio solo, ed in altri in tempii separati sì, ma vicini fra loro, come in Roma, nella regione XI, erano vicine Aedes Cereris, Aedes Proserpinae. Una tale opinione vien anche confermata dall' origine Pelasgica del nostro Cicurio da quello dell' Epiro, dove, come è noto da Diodoro (1), ebbe la sua sede Aidonoe, o Plutone, a cui Teseo con Piritoo tentava di rapire la sposa, Proserpina, e quindi avendo avuto essa colà un culto, lo dovè avere anche nel nostro Cicurio.` Del resto questi due grandi edificii, detti ora le fosse, stanno tutti ingombrati da grosse pietre ivi accatastate, ma che meritano essere sgombrate, sulla speranza di aversi qualche indizio certo della loro destinazione ed antichità.

Per tutta la pianura poi veggonsi abbondanti rottami di mattoni, e grosse tegole, frantumi di vasi di ogni qualità, neri e gialli, simili in tutto a quelli di Metaponto, e tali da ricordarci i bei tempi della Magna Grecia Oltre di ciò sono molti i suoi sepolcri con belle stroviglie, e le monete, che ivi ed all'intorno spesso spesso si ritrovano.

(4) IV, 36, 1.

Questo è tutto che della Pelasgica Cicurio ora ne avanza. Si aggiunge solo, come il detto campagnuolo diceva che nella parte del monte, dietro dei detti due tempii, al principio della scoscesa a Ponente, ci stava

una caverna, ormai chiusa per terreno caduto, sul conto della quale raccontava le più alte meraviglie del mondo. Certo è che sulla stessa, con meraviglia veramente, si veggono vegetare in tutte le stagioni alcuni lentischi, le cui fronde, per un fenomeno tutto singolare, sembrano proprio come di oro, per il loro colorito lucidodorato, talchè vien detta la macchia d'oro. Ne colsi un ramuscello in rimembranza di quel ramuscello d'oro colto da Enea nel bosco di Cuma per presentarlo a Proserpina nella sua discesa all' Averno.

Nulla può dirsi del tempo preciso della sua distruzione; ma per certo avvenne in tempi remoti, come argomentasi dalla menzione che se ne fa nelle citate. carte di controversia tra i detti PP. Benedettini ed il comune di l'omarico; e dippiù, se vero è, come già credesi, che dalla distruzione di Cicurio fu fondato l'odierno Pomarico, il quale certamente rimonta pure al tempo della Magna-Grecia, come è dimostrato da' sepolcri, vasi, e monete, che ivi spesso si trovano in abbondanza, la sua distruzione è da riportare ad un'epoca molto remota.

 (continua con  https://books.google.it/books?id=8lIvAAAAYAAJ&pg=PA58&focus=viewport&dq=TEODORO+RICCIARDI&hl=it&output=text#c_top )

 

  Scavi archeologici di Torre Mare nel 2023