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Gli anziani sono le nostre radici, la culla del nostro passato, lo scrigno della nostra storia.

Un Paese, senza radici, senza passato, senza storia è un Paese senza identità e quindi senza un presente e inevitabilmente senza un futuro.

La nostra associazione ha intrapreso la strada della ricerca e della conservazione dei ricordi attraverso le testimonianze dei nostri anziani. Sul grano abbiamo tante testimonianze di anziani ,in tanti ci hanno  purtroppo ci hanno lasciato, ma di loro conserviamo gelosamente  le registrazioni dei loro racconti, la cui sintesi è presente nel nostro opuscolo 100 anni di grano a Bernalda.

In questo articolo si vuole divulgare il rito funebre a Bernalda nell’ultimo secolo. Lo facciamo riportando i ricordi di una persona anziana, quasi 93enne, E.G.. I suoi ricordi risalgono alla sua infanzia, quindi al ventennio fascista.

Esordisce dicendo la cosa che forse gli è rimasta piu impressa. “Non esistevano agenzie funebri, quindi tutto era gestito dalla famiglia e dagli amici del quartiere, che al momento del bisogno erano sempre pronti a supportare tutto il vicinato. Il vicinato e i parenti provvedevano a lavare e vestire la salm. In casa c’erano sempre , in un posto ben preciso che solo  i familiari conoscevano, i vestiti e soprattutto le scarpe nuove, mai usate, quelle per  l’ultimo viaggio, tutto stirato e pronto all’uso.

La bara delle persone del popolo era piuttosto semplice , in legno grezzo non trattato, fatta in poche ore dai falegnami locali, non coibentata, quindi senza zinco.

Delle donne che piangevano a pagamento, le cosiddette prefiche o le piagnone, io ne ho sentito solo parlare  dagli anziani di allora, ma a Bernalda già durante il ventennio non c’erano più, almeno secondo i miei ricordi, ma delle donne che spontaneamente, senza retribuzione, piangevano in maniera straziante, coinvolgendo tutti, quelle me le ricordo bene.Durante la veglia, accompagnata da lodi, venivano ricordate le qualità e le attitudini al lavoro del caro scomparso. A mezzanotte la salma veniva lasciata sola, si pensava infatti che allo scoccare della lancetta gli angeli scendessero sulla terra per portare con loro l’anima del morto.

Il feretro era portato in spalla, non c’erano carri funebri (almeno per il popolo) , dalla casa del defunto fino alla chiesa del Convento o  Chiesa madre e dopo un messa piuttosto veloce, il corteo funebre proseguiva lungo Corso Umberto fino all’incrocio di via Nuova Camarda. Arrivati all’incrocio fatidico, quindi nei pressi della storica Cisterna di San Francesco, il corteo funebre si scioglieva, i maschi si toglievano tutti il berretto, chinavano la testa,segno della croce e salutavano il defunto per l’ultimo viaggio.

Ultimo viaggio che  era veramente complicato, in quanto dall’incrocio fino al cimitero la distanza è di 1,2km. Tutta via nuova Camarda era solo  brecciata alla meno peggio e via della Concordia  era completamente sterrata. Queste due strade  in inverno erano difficoltose da percorrere ,anche a piedi ,a causa del fango ed in estate della polvere. Le bare per fortuna non erano pesanti quanto quelle attuali, ma occorrevano almeno otto persone di buona volontà e della stessa altezza per percorrere una simile distanza.

I familiari più intimi ritornavano da soli presso la casa del defunto per raccogliere le condoglianze dei parenti e amici. Si immagini  le casette del centro storico, magari al primo piano, con una scala di accesso stretta con una fila che saliva  ed una che scendeva, magari con qualche persona anziana che ostacolava il flusso.Un vero disastro. Le cose non andavano certo   meglio nei casalini di 45mq, al piano terra,con una sola porta di accesso e file interminabili di persone in strada.   L’uso delle condoglianze in casa è  sparito  solo negli anni 70, quando le condoglianze venivano date ai famigliari in fila, sul marciapiede, angolo via Nuova Camarda con via della Concordia.

Dopo il rito delle condoglianze la famiglie si chiudeva in casa per otto giorni.  Porte e finestre sbarrate per otto giorni, non potevano nemmeno uscire per fare la spesa o andare al lavoro. Per una settimana i parenti e gli amici provvedevano ai bisogni della famiglia del defunto, portando caffè,latte, zucchero e piatti già pronti, in quanto la famiglia non  doveva nemmeno cucinare.

Dopo otto giorni il lutto finiva con un nuovo corteo, partendo dalla casa del defunto,con le donne in testa, rigidamente vestite di nero, fazzoletto,vestito,calze e scarpe, i maschi con la cravatta nera, e/o un bottone e/o una fascia vistosa di nero a braccio sinistro. Insieme si raggiungeva la chiesa per la messa del lutto, dopo la quale,la famiglia poteva finalmente aprire le porte.

Altro rito la tumulazione. Durante il ventennio esistevano solo le cappelle gentilizie, ovviamente realizzate secondo il censo della famiglia ,ma non mancavano anche cappelle più semplici di famiglia comuni , in cui dietro compenso , si poteva comprare un loculo per una scadenza massina di dieci anni. Con le bare non isolate dallo zinco, l’olezzo che veniva  fuori della cappelle, soprattutto quelle in parte seminterrate, era verante insopportabile. Il loculo era forse il costo maggiore del rito funebre, per cui le famiglie meno abbienti venivano inumate, gratuitamente, per terra.

L'intervista finisce qui,certamente ci possono essere altri contributi, di altri testimoni, a cui daremo sicuramente voce integrando questo articolo.

Anche questo è un pezzo della nostra storia